

C'è una pianta che cresce selvaggia lá dove l'aria annaspa e fischia in vampe avvolte su se stesse, sopra rocce lesse.
C'è una pianta che con prepotenza proclama il suo verde tra le squame di pietra polverosa, a picco sul mare.
C'è una pianta, la litodora, che ostinata e non paga della sola sopravvivenza, urla il suo trionfo con mille fiori blu elettrico, stagliati sul bianco bruciato degli sterpi di un' estate
troppo calda.
Posso dire di averti vista, posso dire che i tuoi colori mutevoli ma sempri carichi della stessa fame di vita si siano impressi sulla mia retina e nei miei pensieri. Ti ho vista in stanze indegne mentre il tuo futuro veniva rosicchiato fino all'osso da creature immonde che bramavano il midollo; ti ho vista gettare le tue radici in profondità in ogni capillare fessura della pietra, alla ricerca di un briciolo di terra salda; ti ho visto ragazza aspettare in attesa sul cancello di casa; ti ho vista occupare lo spazio in forme sempre nuove, sempre con la solita pelle e lo stesso cuore, ho visto quella pelle tingersi di rosso solcata da sangue di fuoco, l'ho vista ornarsi di cicatrici come trofei di una caccia brutale; ti ho vista donna fiera e altezzosa, potente nel braccio e incrollabile nella volontà, dallo sguardo che scava montagne, ti ho vista guardare in faccia il vuoto che il destino apre davanti ad ogni nostro passo e nonostante questo ti ho visto gettare radici aeree, ho visto quelle radici cibarsi e succhiare ogni stilla di sudore e sangue, felici della fatica e del Buon Dolore. Ti ho vista bambina, alla ricerca di rosse coccinelle nel più verde dei prati e goderti la luce della superfice conquistata con fatica, tra sbrilluccichii rosa e lucidalabbra
La litodora, dono delle rocce, dono di scusa da parte tutto ciò che è aspro, ciò che da solo con la sua bellezza dovrebbe espiare le colpe del duro, di ciò che ferisce. Ogni volta che vedo quei fiori blu elettrico penso a te, a come hai riscattato il dolore del mondo, di come con il tuo selvati
